Nel silenzio

Scendo giù negli abissi
come un palombaro
con lo scafandro
I rumori della terra emersa
suonano sempre più lievi
Comincio a sentire
il mio respiro, conto
i battiti del cuore, sento
sempre più il pulsare
delle vene, del mare
La luce scema piano
si fa buio, blu scuro
Un’eco di conchiglia
si spande ovunque
Senza parole ascolto
quel che ho da dire;
dico senza proferire
Nel silenzio
so chi sono

La fiamma

è un continuo slanciarsi
e un continuo rientrare
gli inneschi e le scintille
l’agire che non ritorna, la fiamma
che non s’accende ancora
un attimo di luce nel buio
non terrore, vuoto apparente
a immaginare il peggio
e sperare il meglio
quando tutto è precario
e tutto è contrario
credere ancora nella fiamma
nella lotta continua
nell’eterna discussione
dimostrare sempre
ogni volta di più
che se non bastano
la volontà e la passione
c’è ancora da meravigliarsi

Rito

di tutto quel che ho
e di quello che non ho
ho un tormento persistente
di paure sbagliate
tra le certezze
la tua voce
rassicura e ispira
come cibo e bevanda
fondente nero
caffè amaro
ho imparato così
a prenderti
ogni giorno

Come le piume

si freme qui
nella danza sincronica
nella carica statica
in ciò che si annulla
in quattro guance rosse
si freme come le piume
nella gabbia appena aperta

Lemme lemme

sento la mia vita cambiare
la voce interiore si fa diversa
un albero ramifica in fretta
piove dappertutto, un bel risciacquo
mentre guardo la città dall’alto
un lampo lontano senza tuono
illumina appena quel che so
e che torno a non sapere

Ancora

tremavo
non pensavo che
non mi aspettavo che
ma ce l’ho fatta
e tremo ancora

Mi perdo

Mi perdo
e mi ritrovo
non fuggo mai
il pensiero di te

Avanzo

Mi trascino
fingendo sorrisi e parole
perché non tollero più il silenzio
non so piangere
e stare fermo

Dicembre non venire

le mattine
da qualche giorno
mi lavo la faccia
ed è come se
non me la fossi lavata
prendo autobus a caso
per vedere cose a caso
la città da un capolinea all’altro
parlo molto ma da solo
lo smog si deposita sul vuoto
delle mie parole
echi lontani
agli angoli di strade
me le dico e me le scrivo
ritornano col rimbombo
fanno la barba ai monti
come le nuvole all’alba
sciolte al sole di dicembre

dicembre non venire
e se vieni portami lei
per regalo in dono
con la sua bocca livida
da baciare e tenere al caldo
rimarginare le crepe del suo labbro
portami la sua voce stridula
la sua allegria e i suoi abbracci

io non ho un camino
non scrivo mai lettere
ho la finestra aperta
il letto vuoto a metà
dicembre non venire
e se vieni ti prego
portala qua

Horror vacui

ogni caduta è fragore
è cadere sempre più in basso
piegato sulle ginocchia
per ricadere ancora
sotto il vuoto
e sopra il niente

una tela a strati
di tinte buie
la luce
un punto di smarrimento
e l’olio unge
presagi e catastrofi
il sogno
si tramuta presto
in incubo
non c’è miracolo
per i non santi
le attese vane
a sperare e disperarsi
sogno di vita
e luminosi spazi
di rosso
sono i ricordi mancati
e un drappo ricopre
le altre vie del trivio

Caravaggio amico mio
sono tante le cose che mancano
dietro le ombre
delle tue tele
come i ragni
che tramano
ad un passo dal fare

nessuno ha colpa
son io che ho colpa
la colpa di tutto
la colpa di me stesso

le cose che credo
durano poco
le cose che credo
sono morbidi cuscini
che abbracciano
e soffocano
e ogni mossa è falsa
ogni parola è persa
e sono dove non dovrei
e sono dove non ho quel che ho

la distanza è un tempo di piombo
è uno spazio glaciale
schiaccia e inaridisce
scoraggia e regredisce
io non cresco più
posso dirmi finito
oppure cominciato

Se qualcuno chiede

è un buon posto
quando non senti
la mancanza del mare
ti abitui a tutto e all’istante
come fosse tuo da sempre
il peso sulle gambe immortali
nelle vene sangue e combustione
andare in giro pieno con meta l’ovunque
sei l’espressione vivente di te stesso
e a chi ti chiede dove sei stato
sai dare una sola risposta
se qualcuno lo chiede
sei stato a vivere

In petto

mi sbatte in petto
una lavatrice a pieno carico
gli oblò son sempre sporchi
e le rampe sempre ripide
l’inclinazione del mezzo
crea vuoti di senso
ma parlerei con te del niente
sotto ogni cielo
a tutte le velocità
su una nuvola immobile
a ridosso di cattedrali
piazze e stazioni
quella nostra panchina
superata la banchina
la mano sul sole
sulla coscia
stringe una forchetta
un bicchiere di vino
il tuo viso
il tuo cuscino
la mano saluta
cambia canzone
col palmo tocco
il tronco di una palma
il solco del mio occhio
qualche lacrima
i ricordi e l’avvenire
biglietti scontrini cartoline
un museo di quadri smussati
la carta gialla e fiori secchi
i tratti di un bambino
scrivo con i miei ideogrammi
corro scorro vento…
“biglietto signore?”

Vieni

Vieni
a urlare in me
questo silenzio

Lo so

quanto ho ascoltato le tue parole
quanto invece ho guardato i tuoi occhi?
essermi perso il filo la trama tutto
essermi perso lo sguardo, giù
tra gli interstizi di due mattonelle
le dita in tasca a graffiare
ma che belli i limiti da superare
e non reggere
come reggo invece l’alcol
che quando insisto mi piace
camminare solo nella notte
tra il buio e la luce gialla
come ho camminato e sbandato
per averti guardato troppo
preso da gioie improvvise
e da future malinconie…
so che sarai sempre
qualcosa che manca

Torno

oggi la fine è finita
e tornando mi guardo
alle vetrine sporche
su cui mi specchio
mi vedo distorto
al bar adesso
si sono fatti un’idea di me
forse l’ultimo caffè
non ci capiterò più
cambierò i percorsi
ma ora non conosco
le strade i portoni
sceso dal bus
ho incontrato l’aria
mi sono liberato
dal petto la nausea
i tacchi degli stivali
scorticati e scollati
torno salendo le scale
ho un sacco di fiato
tanto da chiedermi
a voce scandendo
dov’è che torno

È la fine d’ottobre

Nel naso l’odore del caffè bruciato
un piccione tronfio e diffidente sul ballatoio
gli appartamenti di fronte chiusi a lutto
brezza e luce di un dopo pioggia d’estate
è la fine d’ottobre e c’è un’aria che sa di attesa
e un’attesa che non sa di niente, confuso
guardo il muro di un bianco nuovo
come questo presente che stenta
lo schermo spento del televisore
aspetto parole che faticano ad arrivare
suona il telefono e non rispondo
insiste il crepuscolo, la luce spenta
il corpo appena scosso, un brivido permane
e ho voglia di tutte le impossibili voglie

Il sonno

L’abbraccio è un gesto virtuale
il parlare uno scrivere pieno d’equivoci
quando cominci i silenzi si sentono di più
un nome pronunciato che non è il tuo
ti annulla in un mutismo senza respiro
la notte la luce gialla filtra nella stanza
il buio, se non è cielo, disorienta
hai preso l’abitudine a stringerti
col lenzuolo attorno al collo
preghi, non sai a chi
preghi a tutti indistintamente
la voce galleggia timida e spezzata
anche quando sei solo, nessuna certezza
il sonno è un vaso pieno di speranze

Una storia deforme

Il cuore è deforme
tanta e mostruosa l’intimità
da dimenticare che sei donna
hai del trucco da toglierti
ogni sera prima d’andare a letto
e certi tuoi movimenti e gesti
pur se li accetto, non li capisco
come quando ti nascondi e schivi
Io che ti ho visto mille volte
mi storco tutto e faccio bah
vicini, ma di schiena, penso a
come mi sei sempre piaciuta
in tutte le tue versioni
ora sfatta come dici
fatta come sei da sempre
alla luce al buio adesso
È solo un sogno a vivo
quest’amore deforme
non posso che pensarci ora
che dormi per conto tuo
ti alzi da sola lontana e vicina
le mie mani certe su di te
se tu fossi qui o io fossi lì
o fossimo assieme là

Buio

Pure di giorno a volte è buio
c’è un silenzio che non accetti
la pioggia non è rumore oltre la finestra
è acqua che scivola sul volto
mentre cammini pesante su te stesso
le scarpe sull’asfalto di cartavetrata

Alla gente non piaci così tanto,
nessuno si gira a guardarti
quando passi oltre e li guardi
nelle loro schiene strafottenti
dirette nell’immonda abitudine

Ti accorgi che sei l’unico
con gli occhi aperti
anche se tutto è sfocato
se la tua vita, la tua vista
la tua testa, lo sono
e a che serve guardare
se nessuno ti guarda?

Il buio della notte è migliore:
a volte riesci a guardarti

Hitchcock

È panico maniglione antipatico,
non ti apri dentro questo loculo
di mattoni e fratture scomposte
come le tue mura millenarie
che reggono chi a bloccarmi
chi a proteggermi dal vento,
dalla demenza e dall’insania,
non faccio che ricadere
dalle scale che risalgo,
vivo in bianco e nero
nei ricordi felici, ora tristi,
come in Vertigo salgo e scendo, 
fermo e fremo, ho le vertigini,
soffro l’altezza della torre chiusa.
Il tempo passa, tu non ci sei
a scorgermi, sorreggermi,
farmi oltrepassare il ricordo
che voglio intatto, non maceria,
ma fuori dal mio corpo,
una bandiera a segnare
il percorso che continua.
Il primo d’ottobre io so dov’ero
e le mura non sono macerie.
Vieni qui a spingermi!

Tre giorni in frigo

Non chiedermi come va,
scado come le cose
A cuore aperto
duro tre giorni in frigo

Come un libro scritto

Sono ricco
come un libro di Balzac
che fossi in lui avrei già scritto,
le mie frasi sono fatte a maglia
sono la lana grezza che punge
trama di dislessiche emozioni
con assenze e interpunzioni
prosodia di alti e bassi
quel che nascondo
mangiando parole
mutando la bocca
è qualcosa di più bello
di quel libro che sono
un libro scritto
che non ho scritto

Perdona

Perdona
l’invidia che provo
la via che cerco
che non trovo
preso dal peso
del corpo storto
ogni cartello
mi dice “no”

Sto bene, ma non credermi

Non credermi
non sto bene come sembra
le emozioni son vere
credi anche ai sorrisi
ma non credermi
se con te sembro felice della vita
perché son felice della vita con te
sono un fiore profumato
fra le tue mani
sto bene, meglio, tanto
la potenza è realtà
finché da solo non ritorno
pericoloso germoglio

Calabria Big Sur

Difendimi dalla volontà
salvami dal bene presunto
fammi vivere il bello
senza che io chieda
alcunché ai sogni
coi pensieri vuoti
un tratto di strada
su cui lanciarci
Calabria Big Sur
e lasciami a ridosso
di questa scogliera
nudo fino all’osso
scosso dal vento
mosso dal mare
lasciami tuffare
vieni in cielo con me
come il fumo di una canna
che ci pesca
con le mani addosso